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Intervista con Recondite: “Non cambierò mai la mia musica pensando a cosa potrebbe dire la gente”.

Abbiamo parlato con il produttore di techno melodica Lorenz Brunner aka Recondite, della sua tecnica in studio, dell suo approccio musicale, dell suo passato… e del suo futuro 2

Ci stavamo avvicinando all’anno 2008 quando un giovane tedesco, con un carattere piuttosto introspettivo, si è avvicinato alle consolle della sua città natale, Bavaria, offrendo dei set genuini, molto diversi da ciò che si era abituati a sentire ai tempi. Lorenzo Brunner stava puntando su di un suono techno dal ritmo lento. Una proposta intima, introspettiva, solitaria e malinconica. Una decade più tardi, Recondite è una delle icone della techno melodica in tutto il mondo. Ha pubblicato su quasi tutte le etichette del genere. A 36 anni, Recondite mantiene un ritmo di produzioni molto alto, nonostante, come lui stesso ammette, il suo suono non venga reinventato spesso.

 

 

Uno dei tuoi primi album – ed il tuo debutto Ghostly International – è stato Hinterland, pubblicato nel 2013. Il tuo ultimo lavoro è stato Dwell, anch’esso Ghostly International, pubblicato lo scorso Gennaio 2020. Potremmo definire questi due album come quelli più orientati alla musica ambient?

Non direi. Credo che Dämmerlicht, pubblicato su Plangent nel 2018, sia il mio lavoro più orientato alla musica ambient. Non c’erano tracce “four-to-the-floor”, pensate per la pista. C’erano dei beat sì, ma erano più down-beat e beat orientati alla hip hop, e la maggior parte delle tracce non li aveva affatto.

 

Cosa ti ha spinto a pubblicare di nuovo su Ghostly International, sette anni più tardi?

Abbiamo una connessione perenne, siamo sempre in contatto ed ogni volta che sono a New York li visito nel loro ufficio. Dopo la prima release, ci siamo promessi che, qualora avessi pensato di fare un nuovo album, avremmo considerato di pubblicarlo insieme. Ed è quello che è successo con Dwell.

 

Nel mentre, sono passani nove anni in cui hai pubblicato su Hotflush, Afterlife, Dystopian, Innervisions, Life and Death, Crosstown Rebels… È come un calciatore che ha giocato con le migliori squadre al mondo. Hai un approccio alla produzione musicale diverso, a seconda della label con cui sta collaborando?

(ride) Ce l’ho, ma non in quel senso. Ho degli approcci differenti quando produco musica e, dopo che le tracce sono pronte, mi avvicino alle label – o loro si avvicinano a me – a seconda del tipo di musica che sono riuscito a produrre.

 

 

Dunque, hai diversi approcci alla musica, ma sempre sotto lo stesso alias. Non pensi mai ad usare nomi differenti?

Sì, ma credo che tutte le mie tracce abbiano una certa familiarità, nonostante siano diverse fra di loro e si adattano a diversi tipi di atmosfere. In qualche modo, hanno la mia scrittura personale, credo. Sono solo sfumature e riflessi del mio lavoro. Non vedo motivo per cambiare alias o nome. Lo vedrei se fosse per qualcosa di completamente diverso, come un progetto di heavy metal o altro.

 

Ti capisco, ma non possiamo negare che il tuo nome è stato – ed ancora è – sempre legato a musica ballabile. Non pensi che il tuo pubblico potrebbe stupirsi se suonassi, per esempio, un set di musica ambient, con sole melodie senza cassa?

Potrebbe succedere, certo. Nel 2018, per esempio, ho suonato un set esclusivo per presentare il mio album Dämmerlicht. Era al CTM Festival, a Berlino. Avevamo montato una speciale scultura di luci a Säule, nel Berghain, ed era uno show interamente ambient. Fu divertente, bello ed interessante. Ma penso che il pubblico già sapeva cos’avrebbe visto e sentito.

 

Sappiamo anche che produci della musica hip hop…

Sì, mi piace l’hip hop, e la produco anche. Tre tracce del mio nuovo album hanno dei beats hip hop. E oso dire di più: credo ci siano 1 o 2 tracce in ogni mio album in cui si possono sentire beats hip hop.

 

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Immagine: © Recondite’s Press Kit

 

Produci per rapper?

Per ora no. Ero in parola con una persona, ma non siamo mai finiti col parlarne seriamente in uno studio. Ma è qualcosa che mi piacerebbe fare, ad un certo punto.

 

Com’è Lorenz Brunner nel suo tempo libero?

Ad essere onesti, cerco sempre di essere il più rilassato possibile.

 

Prima non lo eri?

Lo sono sempre stato, e ho sempre cercato di esserlo, anche prima. Non voglio una vita a tutta velocità. Ho usato il verbo “cercare” perché penso che se non provi a rallentare, soprattutto in questo stile di vita sempre in giro in cui sono cresciuto negli ultimi 7 o 8 anni, non arriverai ad avvere una vita serena. Sai, sempre da qualche parte, sempre a suonare in un club, le date, gli hotel, gli aeroporti, i mezzi di trasporto…

 

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Immagine: © Recondite’s Press Kit

 

La tua musica sembra indicare che sei una persona piuttosto tranquilla. È vero?

Quando ero molto più giovane, attorno ai 20 anni, andavo a feste ed eventi. Andavo nei posti della mia zona, Bavaria, ma non c’erano molti club lì (a meno che non si andasse a Monaco). Ero più interessato a sentire chi suonasse, più che conoscere gente e fare nuove amicizie. Non ero – e non sono – una persona che ama il networking.

 

Questa era proprio la mia prossima domanda. La tua musica suona solitaria, melanconica ed introspettiva. Quanto è relazionato alla tua personalità? 

È parecchio correlato, ma non completamente. Non sono sempre solo, come puoi immaginare (ride). Ma è una mia componente, questo è sicuro.

 

Quando, dove e come Lorenz Brunner ha creato Recondite? E perché “Recondite”?

Ero a Berlino, fra il 2009 e il 2010. Ho iniziato ad accorgermi che c’era un’opportunità nel pubblicare musica, sotto un nome d’arte. Volevo trovare una parola che in qualche modo descrivesse l’opposto di qualcosa che è molto “sotto al muso”, molto ovvio, facilmente comprensibile. Volevo trovare un aggettivo che descrivesse una circostanza che non è ovvia al primo impatto, un po’ nascosta, misteriosa. È questo che significa “recondito”. Secondo il dizionario, un fatto recondito è un fatto di cui non è facile discutere. Richiede attenzione e devi approfondirlo. È esattamente quello che cercavo.

 

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Immagine: © Phlame

 

5 anni fa, in una rivista Colombiana, stavi dicendo che pubblichi musica velocemente, forse troppo. E alla domanda sulla rapidità di pubblicazione hai risposto: È difficile da dire, ma credo che mi renderò conto molto presto che è già tanto. (…) Sono troppe tracce. 5 anni più tardi, quali sono i tuoi pensieri a riguardo?

La penso uguale. A volte, penso ci siano troppe mie release là fuori. Quest’anno, per esempio, ho pubblicato il mio album, ed ho anche due remix… e vediamo cosa succede più avanti. È interessante pubblicare molta musica in poco tempo ma, dall’altro lato, mi rendo conto che, se ci metti troppa energia, puoi distorgliere l’attenzione dal punto finale e la gente si stufa. Voglio avere un flow costante di pubblicazioni. Non voglio avere 5 EP ed un album ogni anno. E, cosa più importante, non voglio nemmeno stressarmi e obbligarmi a fare musica tutto il tempo. Voglio mantenere il mio approccio libero iniziale. Quando mi sento ispirato, mi siedo e creo. Non voglio mettere pressione alle mie procedure.

 

Una volta hai anche detto: Sono costante in quello che faccio, nonostante non mi reinventi. Pensi che tu non ti stia reinventando?

In un certo senso, sì. E questo è uno degli argomenti del mio nuovo album Dwell. Quando ero seduto a farne le prime stesure, mi sono accorto di avere 6 o 7 loop, prime idee che era già potenziali tracce. E mi sono reso conto che non c’era nullo di nuovo nella mia estetica musicale. Ma mi divertivo a farla. Ed ho pensato: è un bene o un male? Dovrei continuare, e finire, o magari fare di più e magari ricavarne un nuovo album? O non ne vale la pena perché ho già fatto qualcosa di simile? Ci ho pensato per giorni, e poi mi sono detto: se decidessi che non ha senso, quali sarebbero le ragioni? Che magari la gente dice che si è stufata della mia musica? Che magari dovrei creare qualcosa di nuovo? E così mi sono accorto che l’unica ragione che potrebbe fermarmi dal continuare a fare la musica che sto facendo è l’opinione altrui. Ma, dal mio punto di vista, mi piaceva la musica che stavo realizzando e questo è l’unico motivo per cui faccio musica, perché mi diverto a farla. Così, ho deciso di tirare dritto. Ne è valsa la pena. È un punto di riferimento nella mia musica, nonostante non reinventi il mio suono. Sono contento di persistere in questa estetica musicale. È dove mi sento bene. Se, ad un certo punto, sento di voler cambiare drasticamente la mia musica, allora lo farò. Ma non cambierò mai la mia musica pensando a cosa potrebbe dire la gente.

 

Suoni sempre live nelle tue date, ma con un CDJ ed un mixer. Puoi spiegarci il tuo set-up?

Ho un mixer 96 Allen & Heath, ed uso 3 canali. Il quarto è quello per il CDJ, ma è un backup. Se il mio computer mi dà problemi, posso salvare la serata con un CDJ e una chiavetta USB. Per fortuna non è successo per molto tempo. Negli altri 3 canali, ci sono gli output della mia scheda audio. Ho 2 canali con tracce separate, ed un canale per gli effetti e sample in più, drum, registrazioni, roba ambient… Faccio il mix delle tracce nel mixer esterno, ma anche su Ableton con un MIDI controller.

 

 

Ricordo che una volta hai suonato in b2b con i Tale Of Us a Ibiza, e anche con Marcus Worgull al DGTL di Barcellona. Hai sempre suonato fin dall’inizio (non live)?

Ho iniziato a suonare a Bavaria, in piccoli club, e anche in Austria.

 

Suonavi lo stesso genere di musica che produci ora?

Sì. Penso di avere alcuni mix di quei tempi registrati. Più tardi, mi sono concentrato sulla produzione musicale. Ora, se devo suonare, preferisco sempre il contesto b2b. Quando sono solo sullo stage, voglio suonare live, ho bisogno di quella speciale connessione con le mie tracce. Ma, non appena qualcuno sale sullo stage, l’interagire con quella persona e con il pubblico diventa tutt’altra cosa. A volte è solo per divertimento.

 

Presti attenzione a ciò che succede nell’industria?

Un pochino. Ad essere onesti, non molto.

 

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Immagine: © Phlame

 

Sai, solitamente i DJ prestano più attenzione rispetto agli artisti live…

Sì, concordo. Questo è uno dei motivi per cui, al momento, non potrei essere solo un DJ.

 

Te l’ho chiesto perché mi chiedevo cosa ne pensassi del Sónar che mette come headliner Bad Bunny, ma anche festival mainstream come il Tomorrowland invita i Tale Of Us o Stephan Bodzin sul loro mainstage. Solo per fare qualche esempio facile.

Penso che il tutto sia ancora in fase di sviluppo.

 

In senso positivo o negativo?

Chi sono io per giudicarlo? Penso che la musica elettronica abbia acquisito molta popolarità negli ultimi anni. Percepisco anche una grande varietà di stili in club più piccoli. Non credo in linee rosse nella musica elettronica. Pero sì, come hai detto, colleghi con cui ho suonato ora suonano sul mainstage del Tomorrowland, e questo dimostra che questa musica si sta ingrandendo e commercializzando. Dipende da cosa suoneranno una volta lì. Se mantengono la cosa tranquilla, è bello. Se lo spingono ad un livello più “cheesy”, commerciale, o qualsiasi cosa, magai non è più bello come prima. Ma la cosa è completamente soggettiva. Non sono la persona giusta per giudicarlo.

 

ARTISTA: RECONDITE

(Immagine di copertina: © Phlame)

 

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